Soundtrack del mese

U2 - City of Blinding Lights

[How to Dismantle an Atomic Bomb - 2004]

domenica, maggio 13, 2007

Sfatiamo il mito - parte 1

Il mito di cui sopra e' l'esoticita' del cibo in Giappone. A partire dai parenti e dagli amici piu' intimi sono molte le persone che mi domandano "come faccio col cibo giapponese", nemmeno fosse a base di arsenio e zolfo.
Diciamolo, un po' tutti (io compreso) le prime volte che si va a provare cucina asiatica abbiamo dubbi e remore, per lo piu' fondati su pregiudizi. Come ad esempio che in Giappone la dieta e' a base di sushi, che in Cina si mangiano formiche e in Thailandia... anzi sulla Thailandia non commento perche' e' vero che mangiano di tutto. Anzi, tutto.

Torniamo a noi: smentire l'affermazione precedente e' semplice, senza contare che chiunque con un minimo di sale in zucca dedurrebbe che il solo pesce crudo non puo' essere a base di una dieta bilanciata. E' invece vero che la cucina giapponese e' tradizionalmente basata sul pesce, ma non solo: oltre agli altri innumerevoli prodotti del mare esclusi quelli ittici, l'altro grande pilastro della dieta nipponica e' da sempre il riso, che qui in genere si usa cucinato a vapore.
Non mi dilungo sulle qualita' nutrizionali di questa o quella cosa, passiamo alla parte divertente.



Questa e' una colazione tradizionale giapponese. La foto e' piccola e non si capisce bene ma fa niente. Guardando anche superficialmente l'immagine si nota appunto il piatto principale a base di pesce (in questo caso salmone, ed e' cotto) e in alto la ciotola di riso. A contorno ci sono diverse altre pietanze: tamagoyaki, che e' una specie di frittata alta e soffice, il tōfu (quella cosa bianca nel pentolino), che si ottiene cagliando la soia fermentata, e l'oshinkō, che sono le verdure sotto sale tagliuzzate . Ce ne' un po' per tutti i gusti, questa combinazione e' solo una delle tante possibili.



Passiamo ad altro, ossia alla cena. Sempre in tema di cucina tradizionale il pasto serale si presenta piu' o meno cosi'. Subito si nota la presenza di carne, che ricordiamo fino a 30 anni fa era un ingrediente piuttosto lussuoso, e diversi sformati ottenuti da impasti vegetali (non chiedetemi i dettagli, non mi piacciono e non lo assaggio volenteri). Nelle coppette chiuse ci sono una specie di risotto ai funghi (i funghi sono un altro ingrediente comunissimo nella cucina orientale in genere) e una specie di budino di soia. Sotto al velo invece c'e' sashimi, che non e' altro che fettine di pesce crudo, che di solito si usa come antipasto. Immancabile anche in questa immagine uovo e salsa di soia, utilizzabili a piacere su questo o quel piatto per insaporire.

Questa, ricordo, e' la tradizione. La cucina tipica per intenderci; un po' come se stessi commentando la polenta e osei della tradizione veneta.
Ora pero' e' il 2007, il Giappone ha volumi di scambi commerciali annui da capogiro e tra le merci vi sono anche cibi, in primis carne e verdure "nostrane". La dieta e' mutata radicalmente rispetto a 30 anni fa, ampliando la varieta' di piatti e introducendo una massiccia dose di proteine animali: a dimostrazione di questo basta confrontare le altezze medie dei giovani di oggi con la generazione precedente, e volendo vedere anche il rovescio della medaglia consultare la statistica della percentuale di obesita' sul suolo nazionale.


Insomma, qui si mangia di tutto. Non sempre cucinato alla nostra maniera ovviamente, ma i piatti sono vari e particolarmente appetibili anche se si e' di gusti difficili (come me per dirne uno a caso). Questo che mostro ad esempio e' un "tradizionale" barbecue dei giorni nostri: verdure, funghi, salsicce e carne di manzo; non differisce particolarmente da quelli che usavo mangiare dal Max le domeniche di festa, se non che forse dal fatto che il tutto sulla piastra si gira con gli hashi e non con i forchettonini di metallo.

Nella prossima parte, vediamo la "nouvelle cousine" delle izakaya e qualche piatto di altre nazionalita'. Sempre se trovo foto utilizzabili tra quelle che ho...

martedì, maggio 01, 2007

Metti una vasca all'aperto - parte II

Ovvero, il ritorno alle onsen.
Il viaggio e' stato deciso abbastanza alla buona, giusto una settimana fa. L'occasione d'altronde, e' ghiotta: siamo in piena GW, che non sta per Guild Wars ma e' l'acronimo di Golden Week, ossia i 7 giorni di feste varie e ponti che tutti i giapponesi aspettano ogni anno per fare un viaggio all'estero o piu' semplicemente in qualche altra prefettura nazionale, e anche noi approfittando dei giorni di ferie piu' o meno concomitanti abbiamo deciso di fare i turisti.

"Noi" sta questa volta per quattro persone: Un Son, Methini, il Coreano Molesto (cosi' come i piu' lo conoscono) e il sottoscritto. Insomma niente mega comitive come il viaggio a Misagami, ma una spedizione piu' intima, con gli spartani obbiettivi di lasciarsi sciogliere nel rotemburo, sparlare liberamente del prossimo, e finire le 5 bozze di sochu appositamente comprate per il viaggio.

E come in ogni buon romanzo di formazione (come se questo lo sia stato... ma mi piace come paragone) il viaggio prende la parte piu' importante del racconto. Il viaggio di andata effettivamente con le sue 6 ore di durata e' stato matematicamente una delle parti piu' lunghe della vacanza, nonche' la piu' interessante sia spiritualmente (secondo la legge del "Sabato del Villaggio") sia visivamente.
Il tempo infatti e' stato stranamente generoso, concedendo con insolita clemenza un'intera giornata di sole (e nottata di stelle) con temperature finalmente tardo-primaverili.
La partenza e' stata programmata alle 10 di mattina, ma con tutto l'hype accumulato (soprattutto dal CM per il fatto che Methini ha accettato di venire) ci siamo trovati alla stazione di Shin Juku un'ora prima. Tempo quindi per prendere -ancora stupiti- il sole, andare a comprare i panini per il pranzo (scoprendo che il Mac vicino alla stazione fino alle 10:30 vende solo i panini della mattina, che hanno tipo bacon, pancetta et similia), bibite e biglietti.
Il piano e' stato seplice: shinkansen ed espressi hanno il supplemento, noi che siamo gente alla buona prendiamo solo i locali e ce la caviamo con una spesa irrisoria. Spesa irrisoria e una tabella di marcia che ha compreso 4 cambi e 3 ore di tempo in piu' delle opzioni "business".



Come scelta puo' sembrare opinabile, ma il fatto e' che solitamente non usciamo mai da Tokyo (personalmente le eccezioni sono le mie visite a Kahinin-Makuhari in Chiba) e vedere com'e' il resto del Giappone fuori dalla metropoli ha sempre il suo fascino.
Perche' ci si accorge che oltre alla sterminata colata di cemento che ormai ha ricoperto l'intero Kanto, a poche ore dal palazzo imperiale ci sono ancora paesaggi come questo, posti insomma che guardandoli ti fanno pensare che probabilmente la gente che ci vive ha ancora un ritmo di vita umano.



Il viaggio insomma e' trascorso liscio e piacevole: siccome non siamo sprovveduti (anzi, la compagine femminile non e' sprovveduta) ci siamo debitamente attrezzati per il viaggio. Nell'immagine qui sopra si puo' infatti vedere Un Son con il bagaglio dei viveri. Tra un cambio di treno e l'altro abbiamo trovato il modo di svuotare il tutto, e senza grossi meriti visto che siamo usciti dall'ultima stazione solo nel tardo pomeriggio.

La nostra destinazione era un paesino sperduto in mezzo alle montagne della prefettura di Gunma, fuori dalla portata del turismo di massa, commercializzazione selvaggia e pure del campo dei cellulari. Una serie ininterrotta (e interminabile) di strette valli scavati da vivaci torrenti ci hanno fatto da sfondo nell'ultimo tratto percorso in autobus, e nonostante non sia la prima volta che vengo a Gunma rimango sempre stupito dalla natura presente in questa regione. Sembra una Treppo di oltre oceano, sia per conformazione geologica che per livello di isolamento presente. Le differenze ovviamente ci sono, e quelle che saltano subito all'occhio sono l'architettura delle case (e fin qua nulla di strano) e la composizione del terreno, che in queste vallette e' talmente ferroso che tutte le rocce hanno un colorito rugginoso, specialmente quelle che fanno da letto ai torrenti.

E il rotemburo dell'albergo (chiamarlo albergo e' forse eccessivo, si trattava di una locanda di modeste dimensioni, per quanto deliziosamente gestita e arredata) infatti non era altro che la porzione di un letto di un torrente appositamente arginata laddove dalle grosse rocce che fanno da fondo escono acque termali. La zona e' meravigliosa: la valle e' molto stretta e alla vasca cosi' ricavata fanno da parete gli scoscesi versanti dei monti ricoperti da aghifoglie. Uno stretto sentiero porta dalla strada alla rive dell'acqua, e appena arrivati si viene accolti da un lieve odore di zolfo.

Una volta spogliatisi, ci si lascia cogliere un attimo dal freddo ancora pungente dell'aria di montagna e con la dovuta attenzione ci si immerge nelle acque. L'attenzione va posta alle pietre piuttosto scivolose per la presenza di alghette e muschi, ma una volta entrati e debitamente sedutisi, il problema svanisce. E ci si trova a mollo in un'acqua leggermente torbida, piuttosto calda e con zone alle bocche dei flussi termali veramente bollente; fortunatamente le si nota facilmente dalla presenza in superficie delle bolle.
E poi nient'altro, silenzio e pace, mentre si assapora con tutto il corpo la stupenda sensazione di tepore mentre il vapore salendo dalla superficie dell'acqua crea una bellissima cortina tutt'attorno.

Non eravamo ovviamente gli unici purtroppo, e anzi la massiccia presenza di uomini (e solo uomini) nelle ore pomeridiane ci hanno scoraggiato inizialmente, piu' che altro per il pudore delle ragazze. Abbiamo cosi' rimandato il bagno alla notte, e forse e' stato anche meglio vista la suggestione dei posti e il gusto del rischio a scendere al rotemburo nel buio piu' totale, armati solo della luce di una torcia elettrica.

Non esistono purtroppo immagini delle terme (per non rischiare denunce per voyeurismo piu' che altro), cosi' ne allego una del CM e Methini intenti a non fare assolutamente nulla. Il tempo in stanza e' trascorso ottimamente, tra la deliziosa cena tradizionale, i dolci giapponesi e ovviamente il Chamisol (chiamarlo sochu e' riduttivo).



Mancano poi testimonianze visive del quartetto in yukata, delle battaglie tra i futon e le facce segnate dalla levata alle 5 e 30 per fare l'ultimo bagno, ancora una volta indisturbati.
Ma a raccontare tutto si toglie spazio all'imaginazione, e soprattutto si intaccherebbe pesantemente la patina di decenza che ancora ricopre i personaggi descritti, quindi -ancora una volta- soprassediamo.

N.B. per tutti quelli che si lagnano dei dettagli: un click sinistro sopra alle immagini e le avrete a grandezza naturale.